Le strategie per la rimozione della CO2 – le foreste

Articolo tratto dal sito Climalteranti.it

Come spiegato nel precedente post, il recente rapporto coordinato dall’Università di Oxford stima che la gran parte dell’attuale rimozione antropogenica di CO2 dall’atmosfera (carbon dioxide removal, CDR) – circa 2 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2 all’anno – avviene nell’ambito delle CDR “convenzionali”, soprattutto grazie alle foreste gestite. Di altre CDR convenzionali, incluse quelle che mirano ad aumentare il tenore di carbonio nei suoli agricoli, e delle CDR ”innovative”, parleremo in successivi post.

Le foreste, in realtà, assorbono molto più di 2 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno.

Complessivamente, gli ecosistemi terrestri (fatti soprattutto da foreste, più un piccolo contributo di aree umide e praterie-pascoli) assorbono oltre 11 Gt CO2 all’anno, pari al 29% di tutte le emissioni di CO2 antropogenica, inclusi i combustibili fossili e la deforestazione (fonte: dati Global carbon budget 2022 – qui le slide).



Questo è un assorbimento netto, a cui cioè sono già state sottratte le perdite di CO2 dovute alla respirazione degli ecosistemi e alle emissioni da incendi e altri disturbi naturali. Gli assorbimenti da classificare come CDR sono quelli in qualche modo indotti da una azione umana diretta, in aree che vengono definite “gestite”. Secondo la definizione delle linee guida IPCC per gli inventari di gas serra dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro ONU sui cambiamenti climatici (UNFCCC), un’area può essere considerata gestita se svolge funzioni economiche, sociali od ecologiche, ed è soggetta ad un qualche tipo di regolamentazione e/o pianificazione.

Secondo gli inventari nazionali di gas serra, l’assorbimento di carbonio nelle foreste considerate gestite (circa l’80% di tutte le foreste) ammonta a circa 6,5 Gt CO2 all’anno a livello globale (vedasi qui). Questo assorbimento, a sua volta, dipende sia da fattori “antropogenici”, cioè direttamente legati alla gestione, che da fattori considerati “naturali”, incluso l’effetto positivo sulla crescita degli alberi esercitato da alcune modificazioni ambientali in atto (come l’aumento di CO2 atmosferica e l’allungamento della stagione di crescita indotto dalle maggiori temperature). A rigore, solo i primi sono classificabili come CDR. Tuttavia, separare questi due fattori è molto complesso: alcuni modelli globali riescono a farlo (pur con diverse assunzioni), ma questo agli inventari nazionali di gas serra risulta impossibile. Il motivo è che tali inventari usano misure dirette, che stimano la crescita della biomassa forestale in un certo periodo di tempo, ma non riescono a determinarne la causa, ossia quanto la crescita sia dovuta alle scelte di gestione e quanto a fattori naturali. In pratica, questi inventari riportano tutti (o quasi tutti) i flussi di CO2 che avvengono nelle aree che ciascun paese considera ”gestite”. Riuscire a comparare le stime dei paesi con quelle dei modelli, seppure difficile, è fondamentale per valutare i progressi climatici nell’ambito degli accordi di Parigi (come spiegato da Carbon Brief qui e qui, ed anche in questo precedente post di Climalteranti).



Come i flussi terrestri di CO2 vengono considerati (antropogenici o naturali) dai modelli globali e dagli inventari di gas serra nazionale (figura tradotta da questo studio).

Alla fine di questa “scomposizione”, si vede che solo una piccola parte dell’assorbimento netto globale delle foreste – legata alla componente che i modelli stimano come “antropogenica” nelle foreste gestite – può essere considerata come CDR forestale. Sono i 2 GtCO2 all’anno stimati dal rapporto dell’Università di Oxford, una cifra ottenuta dai modelli modificando le stime nazionali per escludere gli effetti “naturali” nelle foreste che i paesi considerano gestite. Sebbene ci siano numerosi fattori di incertezza, questa stima è importante perché riflette la recente consapevolezza della comunità scientifica sul fatto che la gestione e pianificazione delle foreste già ora contribuisce positivamente all’assorbimento ed accumulo di CO2; cosa che i modelli globali sostanzialmente ignoravano fino a pochi anni fa.

Il potenziale

E’ ormai accertato che l’assorbimento di CO2 da parte delle foreste fornirà un contributo importante per raggiungere la neutralità climatica, prevista dall’accordo di Parigi nella seconda metà del secolo a livello globale e già trasformata in obiettivo vincolante dall’Unione Europea per il 2050 (si veda qui). Su quanto potrà essere questo contributo, tuttavia, c’è ancora molta incertezza.

Un ulteriore assorbimento di CO2 da parte delle foreste può essere conseguito mettendo in atto tre diverse strategie: il miglioramento della gestione delle foreste esistenti, l’espansione forestale e il ripristino delle foreste degradate, e la protezione delle foreste primarie dalla deforestazione. La dettagliata analisi del Sesto Rapporto IPCC–WG3 fornisce, per il settore “Forestry and other land use-related options” e considerando 100 $/tCO2, un potenziale di rimozione di CO2 nel 2030 pari a 7.3 GtCO2/anno (intervallo 3.9–13.1, vedasi capitolo 7 IPCC-WG3), in rialzo rispetto alle stime dei report precedenti (si veda la tabella 12.4, capitolo 12). È da notare che il potenziale maggiore, ed anche il meno costoso, è nella riduzione della deforestazione (reduced conversion, non trattata in questo post), seguito dal ripristino delle foreste degradate (restoration) e l’espansione forestale (afforestation e reforestation), ed infine dal miglioramento della gestione delle foreste esistenti (vedasi figura sotto).


La gestione forestale

Per le foreste esistenti la sfida è mantenere, e dove possibile incrementare, gli attuali assorbimenti di CO2, sia di origine naturale che legati direttamente alle attività umane. Questi ultimi, come abbiamo visto, rappresentano la stragrande maggioranza delle CDR attuali. Non è una sfida facile: da un lato occorre trovare un giusto equilibrio tra gli assorbimenti di CO2 da parte degli alberi vivi e lo stoccaggio di CO2 nel legno estratto dalla foresta, che può offrire benefici climatici basati sul sequestro di carbonio nei prodotti legnosi a lunga durata e sulla sostituzione di emissioni legate a materiali più clima-impattanti (si veda qui). Dall’altro, sarà indispensabile rendere le foreste più resilienti ai crescenti impatti dei cambiamenti climatici, onde evitare che l’assorbimento di CO2 diminuisca o addirittura si trasformi in emissione come conseguenza dello stress e degli eventi estremi (si veda qui). Ad esempio, alcuni studi (ad esempio, qui) indicano che negli ultimi anni la capacità assorbimento di CO2 della foresta amazzonica si sia ridotta e che, considerando in aggiunta le emissioni dalla deforestazione e dal degrado forestale, l’Amazzonia nel suo complesso possa essere già diventata un sorgente netta di CO2. Diversi progetti stanno esplorando le conseguenze “carboniche” di interventi forestali che aumentino la resistenza e resilienza delle foreste agli eventi estremi, come gli incendi boschivi (ad esempio qui).

A volte viene contrapposto il potenziale di mitigazione delle foreste giovani (e di solito gestite) e di quelle vetuste, ma il contrasto è apparente, perché entrambe sono preziose. Se le foreste giovani massimizzano il “sink”, cioè assorbono più carbonio per unità di area rispetto a quelle vetuste, queste ultime massimizzano lo stock, cioè la quantità di carbonio accumulata. Prediligere l’una o l’altra funzione dipende dal contesto: dove c’è elevata biodiversità e richiesta ricreativa, e basso rischio di disturbi naturali, le foreste vetuste possono offrire vantaggi; in altri contesti, dove ad esempio esiste già una filiera dei prodotti legnosi, si può valutare di massimizzare la gestione intensiva, preferibilmente usando il legno per usi duraturi e solo gli scarti legnosi per l’uso energetico.

Vantaggi e svantaggi dell’afforestazione

Per quanto riguarda il potenziale di un’ulteriore espansione forestale, la principale limitazione è la disponibilità di terra. Negli ultimi anni il dibattito è stato acceso da un articolo che aveva indicato un vasto potenziale delle CDR conseguibili con ripristino forestale, afforestazione e riforestazione (circa 7,5 Gt CO2 all’anno), già discusso nel precedente post “Le foreste ci salveranno?”.

Fra i potenziali vantaggi dell’incremento dell’area forestale come strategia CDR c’è la fornitura di molti servizi ecosistemici e il controllo dell’erosione del suolo e della stabilità dei pendii. Nelle aree abitate, nuove foreste possono giocare un importante contributo per l’adattamento al cambiamento climatico (raffrescamento, assorbimento di piogge intense e di sostanze inquinanti). Lo sviluppo della CDR in molti paesi poveri può inoltre fornire ulteriori risorse alle comunità più povere e/o indigene. Molto più incerte e controverse sono le conseguenze dell’afforestazione sulla biodiversità, che dipendono dal tipo di ecosistemi che vengono ripristinati e dalle modalità del ripristino, a scala sia locale (scelta delle specie e delle strutture forestali) che di paesaggio (connettività ecologica).

Lo svantaggio principale è la vulnerabilità delle nuove foreste nello stoccaggio del carbonio, che è suscettibile di essere rilasciato rapidamente in atmosfera in caso si verifichino disturbi naturali come incendi, tempeste o attacchi di parassiti, o altri effetti negativi del cambiamento climatico quali siccità e temperature elevate.

Un altro fattore da considerare è che l’espansione delle foreste può generare variazioni dell’albedo, cioè della frazione di radiazione solare che viene riflessa dalla superficie terrestre, con un impatto che varia soprattutto in relazione alla latitudine (vedasi qui). Alle latitudini più elevate, dove le foreste sono più scure (e quindi assorbono più radiazione), un’espansione forestale può generare maggiore riscaldamento rispetto ad aree non boscate e a lungo innevate. Diversamente, nelle zone tropicali gli effetti della maggiore evapotraspirazione generata dagli alberi fa sì che sopra le foreste si formino più nubi, che riflettono più radiazione rispetto alle aree non boschive. L’impatto sull’albedo va valutato insieme agli altri effetti “biofisici” (cioè non legati al ciclo del carbonio) delle foreste sul bilancio energetico complessivo del pianeta. Ad esempio, il contributo raffreddante dell’evaporazione dalle foreste è ancora relativamente poco studiato e spesso ignorato dai modelli.

Un bilancio complessivo delle CDR forestali

Il report dell’Università di Oxford, esplorando scenari compatibili con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, individua la necessità di ulteriore crescita delle CDR forestali, pari a circa 1-2 Gt CO2/anno per il 2030 e 2-4 Gt CO2/anno per il 2050, in aggiunta agli attuali 2 Gt CO2/anno (vedasi tabella 8.1 del rapporto). Questi valori sono più alti di quanto previsto negli impegni attuali dei paesi formulati nei rispettivi NDC (Nationally Determined Contributions) e nelle strategie climatiche di lungo termine. Sulla base delle informazioni disponibili (spesso vaghe o non ben quantificabili), tali impegni corrisponderebbero ad ulteriori CDR forestali pari a 0.1-0.7 Gt CO2/anno nel 2030 e a 0.9-1.7 Gt CO2/anno nel 2050. Emerge quindi un “gap” tra gli assorbimenti forestali pianificati dai paesi e quelli necessari per raggiungere gli obiettivi di Parigi, che contribuisce all’“emissions gap” complessivo già discusso in questo post.

Una ulteriore criticità delle CDR forestali è che la quantificazione del reale assorbimento e stoccaggio permanente di carbonio è inevitabilmente complessa, molto più incerta delle stime per le CDR innovative, di cui parleremo nei prossimi post.

Al di là dei potenziali relativamente elevati e delle incertezze negli assorbimenti annui di CO2, il totale del carbonio stoccabile nelle foreste è comunque limitato, con il potenziale massimo – circa 200 Gt – dato dallo stock esistente prima della deforestazione e degradazione forestale degli ultimi secoli. Sebbene i prodotti legnosi possano espandere tale stock, anche qui il potenziale è limitato. La parziale ricostituzione degli stock di carbonio forestale dilapidati da secoli di sfruttamento può contribuire a ridurre la concentrazione atmosferica di CO2, ma tale contributo equivale a una frazione relativamente piccola dell’incremento che si è verificato a causa della massiccia immissione di carbonio fossile nell’atmosfera.

Inoltre, va considerato che gran parte degli scenari considerati dall’IPCC prevedono un progressivo calo dell’assorbimento forestale globale (cioè di gran parte degli oltre 11 Gt CO2/anno citati sopra), a causa della saturazione dell’effetto “fertilizzante” sulla crescita degli alberi generato dall’aumento di CO2 atmosferica. L’entità di questo calo influenzerà non poco le possibilità di raggiungimento degli obiettivi climatici dell’accodo di Parigi. In altre parole, non tutto dipenderà dai nostri sforzi, ma anche da come la biosfera terrestre reagirà ai cambiamenti climatici che abbiamo innescato.

Per tutto quanto detto, si prevede che le foreste, cioè gran parte delle CDR ”convenzionali”, possano fornire un contributo importante, ma di per sé non sufficiente a raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica previsti dell’Accordo di Parigi. Come illustrato nella figura sotto, queste CDR convenzionali dovranno essere affiancate dal progressivo sviluppo delle CDR ”innovative”, di cui parleremo nei prossimi post.


Andamento stilizzato delle emissioni di gas serra (aree marrone, celeste e rosa), delle CDR convenzionali (cioè soprattutto foreste, area arancione scuro) e delle CDR innovative (area arancione chiara). Tratto dal rapporto coordinato dall’Università di Oxford.

In conclusione, sebbene le foreste non saranno certamente l’unica opzione per rimuovere CO2 dell’atmosfera, né potranno in alcun modo essere usate come scusa per ritardare la necessaria decarbonizzazione degli altri settori, il loro contributo sarà importante per cercare raggiungere gli obiettivi di Parigi.

Alcuni dati
A livello globale le foreste coprono circa 4 miliardi di ettari; secondo gli inventari nazionali di gas serra, circa l’80% di queste foreste è considerato gestito ed assorbe circa 6.5 Gt CO2 /anno (escluse le emissioni da deforestazione), pari a circa il 12% delle emissioni globali di gas serra.

Nell’Unione Europea le foreste coprono circa 165 milioni di ettari; secondo gli inventari nazionali di gas serra, quasi il 100% di queste foreste è considerato gestito ed assorbe circa 0.3 Gt CO2 /anno, pari a circa il 9% delle emissioni UE di gas serra.

In Italia le foreste coprono circa 10 milioni di ettari; secondo l’inventario nazionale di gas serra, tutte queste foreste sono gestite ed assorbono circa 0.03 Gt CO2 /anno, pari a circa il 9% delle emissioni italiane di gas serra.

Testo di Giacomo Grassi (co-autore del rapporto), Stefano Caserini, Sandro Federici e Giorgio Vacchiano.