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Capo Verde

Progetto Boa Vista “Floresta Clotilde” (relazione tecnica del Prof. Dario Sonetti)

Progetto in fase di studio, da realizzare in collaborazione con F.A.O. ( Food and Agriculture Organization of the United Nations )

Buona parte dell’isola è caratterizzata da un aspetto desertico e la vegetazione attuale dovrebbe coprire meno del 10% del territorio. La vegetazione arbustiva si ritrova soprattutto lungo corsi d’acqua per la maggior parte secchi in buona parte dell’anno, mentre nelle poche oasi viste dove è presente ancora un quantitativo minimo d’acqua la vegetazione appare rigogliosa, segno che il terreno se opportunamente bagnato è fertile, e la presenza di animali selvatici (specialmente uccelli acquatici) visibile.

Non conoscendo l’estensione e le condizioni precedenti dell’area denominata Foresta Clotilde posso solo dire che attualmente di tale foresta non rimane molto. Persone anziane a cui ho chiesto informazioni mi hanno assicurato che la foresta esisteva ed era rigogliosa. Parlano di un abbondante presenza di palme da dattero che portavano anche un contributo alla necessità alimentare e di altre piante presenti da cui si ricavavano oli e coloranti.

La foresta forniva anche combustibile per le necessità quotidiane. Sulle cause del deperimento della foresta non vi sono pareri concordi, viene da alcuni attribuita prevalentemente alla diminuzione della piovosità, che peraltro non sembra sia mai stata alta, molti addebitano la perdita di acqua di questi ultimi anni ad un eccessivo prelievo dalle falde per scopi edilizi legati ad uno sviluppo turistico a connotati speculativ

i. Anche la costruzione in atto dell’aeroporto internazionale probabilmente sta contribuendo non indifferentemente. I pozzi di Rabil sono attualmente al loro minimo storico.

A lato di questa perdita netta di apporto idrico, vi sono due altri fattori che determinano la mancanza sufficiente di acqua per le specie autoctone, la prima sembra essere stata la forte competizione di specie alloctone come l’acacia (?) inizialmente importate e piantate per la loro capacità di drenare un terreno eccessivamente paludoso (sic!) e poi evidentemente non più controllate nella loro espansione

A lato di questa perdita netta di apporto idrico, vi sono due altri fattori che determinano la mancanza sufficiente di acqua per le specie autoctone, la prima sembra essere stata la forte competizione di specie alloctone come l’acacia (?) inizialmente importate e piantate per la loro capacità di drenare un terreno eccessivamente paludoso (sic!) e poi evidentemente non più controllate nella loro espansione. Il secondo fattore è la mancanza di un’opera di incanalamento e conservazione delle acque a carattere permanente. Ho notato diversi manufatti, pozzi, cisterne in cemento anche recenti, pompe a vento, canali e dighette, tutti desolatamente non funzionanti o abbandonati all’incuria. Le capre pascolanti liberamente, anche se ora in numero più limitato (così mi dicono) danno il colpo finale non permettendo a nessun germoglio di salvarsi dalla loro fame.

Un discorso analogo può valere per la possibilità di piantumare nuovi frutteti. Ho potuto visitare alcuni progetti agricoli tutti falliti e abbandonati nel giro di poco tempo ancora prima di diventare produttivi. Evidentemente può risultare relativamente facile partire con un progetto ma bisogna attentamente analizzare le cause per il suo mancato proseguo.

Vi sono due considerazioni che vorrei fare come premessa ad un possibile intervento.

La prima è che stiamo parlando di un isola che per definizione è un sistema chiuso. Per sopravvivere naturalmente avrebbe bisogno di un equilibrio ecologico anche estremo ma pur sempre un equilibrio. Attualmente questo equilibrio non esiste per permettere uno sfruttamento sostenibile delle poche risorse naturali.

Probabilmente la popolazione locale nel passato accontentandosi di un regime di vita di poco superiore alla pura sopravvivenza riusciva a mantenere questo equilibrio. L’aumento della popolazione e l’avvento di un certo tipo di sviluppo turistico, sicuramente già eccessivo per l’impatto quantitativo ma anche qualitativamente consumistico, causerà una serie di problemi sempre più gravi per la vita della popolazione locale. Già ora l’isola non sopravvivrebbe senza l’apporto dall’esterno di un costante approvvigionamento idrico, di derrate alimentari fresche e fonti energetiche combustibili. Chi fa le spese maggiori di tutto questo, senza la possibilità di lamentarsi è l’ambiente naturale e ritengo che il tasso di biodiversità attuale, sia sulla terraferma che nel mare si stia velocemente riducendo. Se non si tiene conto di questi fatti è irrealistico pensare di ricreare una foresta naturale che non sia solo una specie di giardinetto cittadino. Ma per questo non credo che nessun Ente o Istituzione nazionale o internazionale sia disposto a finanziare un progetto.

La seconda considerazione riguarda la partecipazione attiva e cosciente al progetto delle varie componenti della società isolana. Ritengo che questa sia una condizione “sine qua non” che ha lo stesso valore dell’acqua per la vita delle piante. Il progetto deve essere sentito e voluto dalle Istituzioni e dalla gente e deve essere compartecipativo

La seconda considerazione riguarda la partecipazione attiva e cosciente al progetto delle varie componenti della società isolana. Ritengo che questa sia una condizione “sine qua non” che ha lo stesso valore dell’acqua per la vita delle piante. Il progetto deve essere sentito e voluto dalle Istituzioni e dalla gente e deve essere compartecipativo. Come ho elencato nell’allegato tecnico 1, il significato e le ricadute di un intervento di recupero della foresta Clotilde devono essere di tipo ecologico, storico-culturale, educativo, scientifico, turistico e produttivo. Questa è una scommessa che può essere affrontata con successo solo se tutte le parti vi credono e cooperano con impegno ed onestà. Il progetto non può essere visto e vissuto solo come l’occasionale arrivo di un apporto finanziario di qualche visionario di passaggio.

Ciò significa che le Istituzioni locali devono crederci ma anche essere coscienti dei presupposti sopra descritti. Significa che devono fornire tutto l’appoggio logistico e tecnico necessario.

Promuovere con una campagna ad hoc il progetto fra la popolazione con incontri periodici di informazione e convincimento di un ritorno positivo ed economicamente valido dell’operazione per la stessa. Nonché del valore storico e culturale dell’operazione, fomentando un orgoglio isolano per qualcosa che può degnamente rappresentarli. Le donne saranno invitate a costituirsi in associazione/i al fine di fornire la mano d’opera necessaria che sarà equamente remunerata ed in questo modo fornirà anche un parziale introito economico per un certo numero di famiglie. Le scuole saranno impegnate in un progetto educativo e culturale che può prevedere l’”adozione” di una piccola area di foresta che sarà seguita anche con un lavoro sul campo insieme alle associazioni delle donne e seguita dai maestri e da tecnici opportunamente preparati. Si vogliono in questo modo passare agli studenti nozioni di ecologia pratica e di agricoltura sostenibile applicata creando quindi i presupposti per futuri sbocchi professionali.

Il settore turistico deve fare la sua parte. Il recupero della foresta viene a costituire un interessante attrattivo turistico che può essere incluso nei programmi dei tours. La foresta verrà fornita di apposita segnaletica illustrativa delle sue caratteristiche e se verrà riconosciuta come Parco Naturale, può avere un piccolo Centro di accoglimento dei turisti nell’architettura caboverdiana gestito dalle associazioni delle donne con vendita di artigianato locale e punto di ristoro.

Può essere previsto uno sfruttamento sostenibile dei prodotti che la foresta può fornire, frutta, oli, altre sostanze naturali utili.

Infine verranno invitate Università a partecipare a progetti di ricerca sull’interessante ecologia dell’isola e ad effetturae un censimento della biodiversità terrestre e marina con probabile scoprimento di nuove specie autoctone e relitte.

Progetti